Übung 1623 "Una farfalla a Caracas"

 

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Una farfalla a Caracas


È il 1953. La coppia di illuminati Anala e Armando Planchart ha le idee chiare: «Vogliamo una casa contemporanea». Gio Ponti li accontenta disegnando per loro un'architettura leggera, con mobili su disegno e pavimenti pregiatissimi.

Negli Anni 50 il petrolio segna l'età dell'oro del Venezuela: il boom economico la capitale Caracas nel futuro, inaugurando un periodo di espansione urbana che eclissa i tipici tratti coloniali spagnoli, per cedere il passo a una città moderna. In quel periodo Anala e Armando Planchart, raffinati collezionisti d'arte, amanti dell'architettura e appassionati dell'Italia, acquistano un terreno di seimila metri sulla collina di El Cerrito e si mettono alla ricerca di un architetto famoso per affidargli il progetto della loro villa. La coppia ha due sole esigenze: Armando desidera spazio per la sua enorme di orchidee, oltre duemila piante, Anala sogna una casa senza pareti per contemplare i picchi dell'Avila, la montagna della Cordillera de la Costa che separa l'entroterra dal mare caraibico.

Sono le pagine di Domus a farli partire per Milano, alla ricerca del suo direttore Gio Ponti. Vogliono che a occuparsi del progetto sia quell'italiano, per mettere in pratica quei criteri di innovazione e modernità teorizzati nella sua rivista di architettura. Grazie all'interessamento del console venezuelano a Milano, i Planchart ricevuti nello studio di Ponti. Lui inizialmente non sembra interessato al lavoro, ma l'entusiasmo e le idee illuminate dei suoi committenti fanno cambiare idea.

Nel primo schizzo una casa con archi. «Archi: un elemento tipicamente spagnolo. Sono convinta che parlare in spagnolo abbia pensato: «Ah sono spagnoli, sicuramente desiderano degli archi«», ricorda Anala Planchart. «Le piace?», chiede l'architetto. La risposta di Anala non si fa attendere: «No, vogliamo una casa all'avanguardia». Ponti la guarda stupito. Da qui inizia un'intesa così forte che l'architetto promette di inviare alla coppia il progetto preliminare della villa prima del loro rientro a Caracas. «La vostra casa sarà come una grande farfalla in cima alla collina», scriverà Ponti in una lettera.

Villa Planchart avrebbe soddisfatto ogni aspettativa dei proprietari diventando un capolavoro pontiano. La costruzione avviata nel 1953 termina quattro anni più tardi. I materiali, i mobili, l'arte arrivano dall'Italia via nave: le ceramiche di Fausto Melotti, i quadri di Morandi e Campigli, i vetri di Venini e Seguso, il camino-scultura di Romano Rui. Il marmo di Candoglia rosato, lo stesso delle guglie milanesi, riveste lo spogliatoio di Anala e le fa esclamare entusiasta: «Il mio bagno è dello stesso colore del Duomo di Milano».

Intanto loro si cementa una relazione speciale: un intenso rapporto epistolare, ampliamente documentato, testimonia questo raro esempio di collaborazione architetto-committente che nel corso degli anni si trasforma in profonda amicizia. «Devo ammettere che è stato il lavoro più piacevole mai eseguito: le richieste sono sempre state intelligenti, chiare, discrete, avanzate con sincera amicizia da due persone incomparabili alle quali ho dedicato questo progetto», confida Ponti. Non mancano i confronti, come sui trofei di caccia che i Planchart vogliono esporre e l'architetto invece dietro ante girevoli. Cose da poco.

«La villa è uno spettacolo di spazi per chi la penetra e percorre», scriverà Ponti. Nel volume unico, dove trasparenze e piani sfalsati danno un effetto sospeso, il cuore pulsante di El Cerrito - vero nome di Villa Planchart - è il soggiorno a doppia altezza con le vedute incrociate: verso il patio e il giardino tropicale da una parte, verso la panoramica sulla città e la montagna dall'altra. La villa è molto grande senza essere monumentale, lo stile si mantiene arioso, leggero e penetrante. A partire dal tetto e dalla tettoia dell'ingresso, mossi come le ali di una farfalla stilizzate. I mobili disegnati da Ponti e prodotti da Cassina, Giordano Chiesa, Singer & Sons e Altamira sono da uno spirito sensuale, raffinato e giocoso.

L'8 dicembre 1957 termina l'opera della quale, molto probabilmente, né i Planchart né Ponti avrebbero potuto immaginare il significato acquisito nel tempo, fino a diventare una delle ville più importanti dell'architettura del XX secolo. Mancata Anala nel 2004, il capolavoro ha perso la sua Musa, ma la Fundación Anala y Armando Planchart sostiene la vocazione illuminata dei proprietari con eventi culturali e visite aperte al pubblico. Un monumento vivo più che .

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